29 ottobre 2020

VPN Wireguard

 A volte anche per gli informatici è difficile stare al passo con l'evoluzione tecnologica. Ma quando una novità, che non è una novità, inizia a diventare diffusa e dirompente, non può passare inosservata.

Oggi vi segnalo WireGuard, che sta diventando lo standard per le Reti Virtuali Private o VPN.

Qui trovate una descrizione su Wikipedia, e qui il sito ufficiale.

Una VPN serve per creare un canale di comunicazione protetto tra il nostro PC e un server su Internet. In questi tempi di smartworking, di furti e ricatti informatici e importanza della privacy, la VPN diventa uno strumento indispensabile per accedere a dati e informazioni che non vogliamo condividere con il mondo intero.

Alla ricerca di una soluzione che sostituisse la vecchia VPN aziendale, ho scoperto Wireguard, un progetto nato nel 2016, ma che ha cominciato a diffondersi seriamente a partire dal 2018.


Logo of WireGuard

Il solo dato della quantità ridotta di codice scritto, mi è bastato per capire che si tratta di un progetto veramente innovativo e moderno. A detta del creatore, Jason A. Donenfeld, Wireguard contiene circa 4mila righe di codice, contro le 400mila e passa del suo predecessore Open Source più diffuso, cioè OpenVPN.

La sua disponibilità su tutti i sistemi operativi più diffusi, Windows, Linux, MacOS, IOS e Android, mi ha ulteriormente convinto che si trattasse di una valida alternativa.

Il tempo materiale per installare un server e un paio di client per le prove, cioè meno di un'ora, hanno sancito il suo ingresso definitivo nell'arsenale degli strumenti informatici personali e aziendali che raccomanderei a tutti.

Quasi dimenticavo: il server di prova gira su un Raspberry!

Markdown e Wiki

 Questo blog vive su Internet, e quindi per voi lettori è una pagina web, scritta in HTML, dove la M sta per Markup, ossia la sintassi che serve per abbellire il testo, creare i collegamenti (la H di HyperText) e identificare i componenti di una pagina web.

La sintassi complessa e lunga da digitare a manina fa in modo che spesso le pagine in HTML, come in questo blog, vengano composte con altri sistemi, e non digitando esplicitamente le etichette HTML, come in <h3>sottotitolo</h3> o <b>grassetto</b>.

Per questo motivo, un certo John Gruber ha proposto un sistema per formattare o abbellire il testo che potesse essere digitato mentre si scrive. Si chiama markdown, dove il 'down' indica la semplificazione verso il basso, rispetto al markup.

 

Con il markdown, ad esempio, il grassetto si indica con degli *asterischi*, il corsivo con delle barre diagonali //, e i titoli con degli uguale === sottotitolo === , con dei !!! punti esclamativi o dei cancelletti, in base alla variante utilizzata.

L'idea è sembrata geniale, tanto che il markdown viene usato dappertutto su internet: nei forum, nei wiki, nei siti di domande e risposte.

Purtroppo Gruber non si è cimentato in una standardizzazione delle sue proposte, che erano un po' ambigue per alcuni versi, e mancavano della ricchezza espressiva richiesta in molti documenti.

Per questo motivo, il markdown non è uno standard, e le varianti si sprecano, spesso incompatibili fra loro. Vi sono diversi candidati per uno standard, o per volume di adozione (standard de facto) o per ricerca di consenso. Ad esempio, su StackOverflow, recentemente si è deciso di passare al CommonMark. Su GithHub regna sovrano il markdown di GitHub, comunemente descritto come GitHub Flavoured Markdown, o 'gh'. Wikipedia ha la sua variante, usata da milioni di Wikipediani.

Oggi ho scoperto una nuova salsa o implementazione che vi segnalo, che a sua volta viene utilizzata per creare dei Wiki su GitHub.

Si chiama Discount, è scritta nel linguaggio C, e trovate qui il sito e la documentazione.

Qui un wiki realizzato con Discount, Make e GitHub: la documentazione del progetto musl.

18 ottobre 2020

Lo ricomprerei: copriwater IKEA anni 2000

Dopo almeno 15 anni di onorato servizio ha ceduto uno dei nostri oggetti IKEA più usati in assoluto: il copriwater!

E' stato l'asse più longevo di sempre, a mio avviso, soprattutto per le cerniere in plastica, a prova di qualunque prodotto corrosivo usato da chi l'ha amorevolmente pulito in questi anni.

Tutti gli altri si sono corrosi e rotti proprio sulle cerniere, solitamente in acciaio cromato. Alcuni dopo pochi mesi di utilizzo. Anche in questo caso si sono rotte le cerniere, ma per stress meccanico. Non voglio indagare sulle cause. 😕


E' uno dei pochi copriwater sganciabili che abbia mai visto (non che sia un esperto del settore 😄), quindi semplice da pulire a fondo. Grazie ad un attento design proprio delle cerniere, ha una parte che rimane attaccata alla tazza e l'asse che si stacca, semplicemente sollevandolo dal verticale. 

E' un prodotto sicuramente "over-engineered" come dicono in inglese. Con questo termine si indica un prodotto in cui i progettisti hanno aggiunto funzionalità e complicazioni che non hanno fondate giustificazioni commerciali. Non riesco ad immaginare le ore di progettazione e di industrializzazione del prodotto, gli stampi per la plastica e i test impiegati dalla casa svedese per assicurarsi la perfetta funzionalità dell'assemblaggio e del prodotto finale.

Sarà per questo motivo, o per altri a me sconosciuti, IKEA non lo produce più e la nuova linea ha le cerniere in metallo come tutte le altre marche.

Intanto che cerco un degno sostituto, ho provveduto alla riparazione, ricostruendo delle cerniere in legno. Non è stato semplice, ma con un po' di manodopera e di aiuto da parte della tribù, ci sono riuscito. 

Se siete curiosi, potete vedere i particolari in questa galleria di immagini.

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Note a posteriori: esistono aziende che fanno copriwater sganciabili e con cerniere non metalliche. Peccato che abbia trovato per ora solo produttori USA, con misure incompatibili (interasse fori USA 5''1/2 o 14cm, ITA 16cm). Vedi ad esempio: