11 dicembre 2020

Centos: la fine di un epoca

 CentOS, la distro di Linux che molti hanno usato per costruire i propri server, è agli sgoccioli, almeno nella forma in cui l'avevamo imparata a conoscere nell'ultima decina di anni.

Red Hat, l'azienda che dal 2014 sostiene l'iniziativa, e ha investito parecchio in quella che era a tutti gli effetti la versione gratuita di Red Had Enterprise Linux (RHEL), la versione aziendale e a pagamento, ha pubblicato una serie di annunci in cui spiega che il ruolo di Centos cambierà nel prossimo futuro.


 Invece di essere la versione Community e gratuita di RHEL, Centos diventerà il banco di prova per le modifiche a RHEL. In pratica una inversione di ruoli, con Centos nel ruolo di "beta" di RHEL, con il nome di "Centos Stream".

Per tutti quelli che la sceglievano per motivi di affidabilità e continuità, garantita dal "fratello maggiore", questo drastico cambio di rotta significa guardare altrove.

La mossa ha creato non poco scompiglio nella comunità degli estimatori, utilizzatori e contribuenti di questo sistema che una decina di anni fa era la versione di Linux più diffusa al mondo.

In particolare, il co-fondatore di Centos, Gregory Kurtzer, ha prontamente rilanciato la sfida, con un fork, dichiarando di voler avviare un nuovo progetto di Linux gratuito, che ha battezzato Rocky Linux, in onore di Rocky McGaugh, suo partner nell'avventura Centos.

Per voi che utilizzate CentOS 7, non c'è da preoccuparsi nell'immediato futuro: Red Hat ha dichiarato che non sono previste variazioni al calendario e la versione 7 verrà manutenuta ufficialmente almeno fino al 2024.

Fonti e riferimenti:

26 novembre 2020

Nagios e monitoraggio Windows

Un post veramente lungo, dedicato agli amministratori di rete. Da leggere solo in caso di bisogno!

Nagios è un complesso sistema di monitoraggio di risorse informatiche, cioè un programma che interroga o riceve messaggi sullo stato dei computer e dispositivi sulla rete e le aggrega in un unico posto.

La sola visualizzazione sarebbe utile, ma insufficiente. La vera forza dei sistemi di monitoraggio è quella di avvisare il responsabile di sistema di eventuali malfunzionamenti o stress dei dispositivi monitorati, cosa che normalmente avviene tramite email.

Chiaramente è meglio avere il sistema di monitoraggio su una macchina diversa da quelle che si vogliono controllare, perché, normalmente, non si guastano contemporaneamente. Inoltre sarà improbabile che il monitoraggio interferisca con altri processi produttivi, ma rimarrà un "osservatore esterno", distaccato e imparziale. 

Nagios è disponibile in versione a pagamento, denominata 'Nagios XI' e nella versione gratuita, 'Nagios Core', che è la versione di cui mi sto segnando alcuni appunti.

Premetto subito che, se installare Nagios Core non è complesso, questo non si può dire per la sua configurazione. Infatti, la semplicità di configurazione la potete avere in cambio della licenza della versione a pagamento.

Nagios è pensato per essere installato su Linux, ma, evidentemente, è attrezzato per dialogare via rete con svariati dispositivi, usando protocolli e linguaggi diversi.

Nel 2016 ...

Nel 2016 avevo installato Nagios Core su Centos7 per monitorare dei server Windows, utilizzando NSClient++, un 'agente' gratuito per Windows, che vorrebbe parlare con Nagios attraverso il protocollo NRPE (Nagios Remote Plugin Executor).   

Quattro anni dopo le cose sono abbastanza cambiate.

NSClient++ è ancora disponibile, ma l'ultima versione risale al 2018.

NRPE è sconsigliato o 'deprecated', e riceve solo aggiornamenti per la sicurezza. Nonostante questo troverete sul web diverse pagine recenti che vi guidano nell'installazione di NRPE e NSClient.

As of NRPE version 4.0.1, this project is deprecated.

Qual'è la strada attualmente consigliata per il monitoraggio di macchine Windows da Nagios Core?

Nel 2020

Dalle indicazioni di Nagios e dallo stato di sviluppo delle varie librerie su GitHub, ho capito che il sistema più aggiornato si chiama NCPA, o Nagios Cross-Platform Agent.

La documentazione Nagios è molto chiara:

NSClient++ is one of many agents that can be used to monitor Windows devices. [...] However, for ease of use and greater functionality, Nagios Enterprises recommends using a multi-platform agent called NCPA

Installando NCPA su Windows, Nagios ha due possibilità:

  1. interrogare direttamente le macchine in modalità 'attiva', 
  2. ricevere in maniera 'passiva', dei bollettini periodici, utilizzando il protocollo NRDP, o Nagios Remote Data Processor.

Vediamo un po' in dettaglio alcuni passaggi e collegamenti a pagine web con istruzioni o specifiche dettagliate.

Lato Nagios: installazione Nagios

E' tutto abbastanza regolare, la cosa importante è seguire una guida specifica per la salsa e revisone di Linux che avete scelto. Molti scelgono Centos o Debian, nel mio caso ho usato Ubuntu 18 LTS.
 
Vedi:
Dopo Nagios è necessario installare i suoi plugin.
Vedi:   

Lato Windows: installazione NCPA

Nulla di più semplice. Scaricate l'ultimo installer e seguite il 'wizard'. 
Segnatevi la chiave di sicurezza (il 'token') che avete scelto per far comunicare le due parti, dovrete usarla nella configurazione di Nagios.

Lato Nagios: installazione client/plugin NCPA

Dovrete aggiungere a Nagios il plugin o client, in python, per parlare in NCPA.  
Si chiama 'check_ncpa.py' e si scarica a parte.
 
Dopo l'installazione, verificate il funzionamento del plugin:
  1. portatevi nella cartella del plugin
  2. eseguite:
    ./check_ncpa.py -H <indirizzo server> -t <mytoken> -M 'system/agent_version' 
    Se funziona potete chiedere a NCPA l'elenco di tutte le voci che può inviare:
  3. ./check_ncpa.py -H <indirizzo server> -t mytoken --list

Lato Windows: configurazione NCPA attivo

Istruzioni per la configurazione di NCPA attivo: i default dovrebbero andare bene nella maggior parte dei casi. Segnatevi la chiave di sicurezza (API token) che vi servirà nella configurazione di Nagios.

Ricordatevi di riavviare i servizi NCPA a conclusione delle modifiche dei file di configurazione

Lato Nagios: configurazione Nagios + NCPA

Qui cominciano i dolori. Dovete armarvi di pazienza, e imparare a muovervi tra i file e le cartelle di Nagios. Dovete imparare cosa sono i 'template' o modelli, che vi faranno risparmiare un po' di ripetizioni (voce 'use' dei file di configurazione).

I passaggi, a grandi linee, sono:

  1. Configurazione generale di Nagios. File nagios.cfg. Abilitare il monitoraggio Windows.
  2. Configurazione dei comandi, in objects/commands.cfg. Aggiunta del comando ncpa
  3. Configurazione dei server (host) e delle voci di monitoraggio (services) per ciascun server. File objects/windows.cfg

Se tutto va bene, ad un certo punto, nella schermata di Nagios dovreste vedere delle bellissime righe verdi in corrispondenza del vostro host e relativi servizi, magari con delle informazioni realistiche sull'occupazione disco e carico CPU.


In bocca al lupo!  

ISS control center

Lato Nagios: installazione NRDP

Se volete il monitoraggio passivo, dovrete scaricare anche il plugin per NRDP. Si scarica e si installa a parte. 
 
Sorgenti e istruzioni di installazione: https://github.com/NagiosEnterprises/nrdp
 
Segnatevi la chiave di sicurezza (token) utilizzata. Vi servirà per la configurazione in Windows.

Verificate che la pagina web di NRDP sia attiva, e che il token sia corretto.

Lato Windows: configurazione NRDP passivo

  • Istruzioni per la configurazione dei controlli passivi (in inglese). 
    • Cartella /etc
    • Troverete un file preconfigurato e uno di esempio.
    • Importante: impostare l'URL di destinazione dei messaggi (server Nagios/nrpd)
    • vedi (in inglese) https://www.nagios.org/ncpa/help/2.2/passive.html 
    • Riavviate i servizi NCPA a conclusione delle modifiche dei file di configurazione 


Lato Nagios: configurazione NRDP passivo

Se è andato tutto bene finora,  i messaggi di Windows dovrebbero arrivare a Nagios. Ma Nagios non sa cosa farsene.
Per verificare, controllate il log di Nagios per vedere se segnala i messaggi di provenienza ignota:

grep 'Error: Got' /usr/local/nagios/var/nagios.log 
 
Se trovate le segnalazioni, siamo a cavallo.
Per far 'digerire' questi messaggi, dobbiamo aggiungere alla configurazione di Nagios:

Riferimenti 

Sorgenti ed eseguibili per Nagios:
Sorgenti ed eseguibili di NCPA. Alla data del post, la versione era la 2.2.2 di giugno 2020.
Descrizione del plugin NCPA per i controlli in modalità attiva, in particolare per Windows:
Spiegazione complessiva dell'utilizzo di NCPA in modalità passiva:
Traccia dettagliata di alcune operazioni di configurazione descritte sopra:

Per coloro che vogliono assolutamente continuare ad usare NSClient++, la documentazione:

09 novembre 2020

WikiData e Label

WikiData è il database RDF che ormai da qualche anno agisce come deposito per i dati "universali" di Wikipedia. 

Ad esempio, è ragionevole che ci sia una unica fonte interna che fornisca il dato sulla popolazione di Parigi, invece di affidarsi alle capacità dei volenterosi volontari che dovrebbero riportarla come numero in cento traduzioni diverse dell'articolo sulla capitale della Francia.

Recentemente mi sono avvicinato a questo mondo, e ho provato a creare qualche domanda o 'query' come si dice in gergo. Per questo c'è uno spazio apposito, chiamato Wikidata Query Service.

Sono rimasto affascinato dalle potenzialità di questo sistema e in generale dal paradigma RDF, ma mi hanno sorpreso subito alcune stranezze, che mi segno qui per motivi di cronaca.

Se voglio sapere quante città si chiamano 'Pavia' nel mondo (nel mondo Wikidata, inteso), devo cercare l'etichetta (o 'label') 'Pavia'. Questo non è intuitivo come si potrebbe pensare.

Query trovata su StackOverflow, in risposta alla domanda di un utente perplesso:

SELECT distinct ?item ?itemLabel ?itemDescription
WHERE{  
  ?item ?label "Pavia"@en.  
  ?article schema:about ?item .
  SERVICE wikibase:label { bd:serviceParam wikibase:language "en". }    
}

 Ma cos'è 

SERVICE wikibase:label 

? Mistero. Nel tutorial di SPARQL per WikiData, ci viene spiegato che si tratta di una 'magia'.

Senza questa magia, bisogna scrivere:

SELECT DISTINCT ?item
WHERE
{
  ?item  wdt:P31/wdt:P279* wd:Q486972 .
  ?item rdfs:label "Pavia"@en .
}

... dove

wdt:P31/wdt:P279* wd:Q486972

significa: un "insediamento umano" o sua sottoclasse più specializzata.

Non sono l'unico che si chiede in cosa consista la 'magia' dei label, come potete leggere in quest'altra domanda su StackOverflow

A quanto pare si tratta di una questione di ottimizzazioni e di efficienza.

Se troverò risposte, sarete i primi a saperlo ...



29 ottobre 2020

VPN Wireguard

 A volte anche per gli informatici è difficile stare al passo con l'evoluzione tecnologica. Ma quando una novità, che non è una novità, inizia a diventare diffusa e dirompente, non può passare inosservata.

Oggi vi segnalo WireGuard, che sta diventando lo standard per le Reti Virtuali Private o VPN.

Qui trovate una descrizione su Wikipedia, e qui il sito ufficiale.

Una VPN serve per creare un canale di comunicazione protetto tra il nostro PC e un server su Internet. In questi tempi di smartworking, di furti e ricatti informatici e importanza della privacy, la VPN diventa uno strumento indispensabile per accedere a dati e informazioni che non vogliamo condividere con il mondo intero.

Alla ricerca di una soluzione che sostituisse la vecchia VPN aziendale, ho scoperto Wireguard, un progetto nato nel 2016, ma che ha cominciato a diffondersi seriamente a partire dal 2018.


Logo of WireGuard

Il solo dato della quantità ridotta di codice scritto, mi è bastato per capire che si tratta di un progetto veramente innovativo e moderno. A detta del creatore, Jason A. Donenfeld, Wireguard contiene circa 4mila righe di codice, contro le 400mila e passa del suo predecessore Open Source più diffuso, cioè OpenVPN.

La sua disponibilità su tutti i sistemi operativi più diffusi, Windows, Linux, MacOS, IOS e Android, mi ha ulteriormente convinto che si trattasse di una valida alternativa.

Il tempo materiale per installare un server e un paio di client per le prove, cioè meno di un'ora, hanno sancito il suo ingresso definitivo nell'arsenale degli strumenti informatici personali e aziendali che raccomanderei a tutti.

Quasi dimenticavo: il server di prova gira su un Raspberry!

Markdown e Wiki

 Questo blog vive su Internet, e quindi per voi lettori è una pagina web, scritta in HTML, dove la M sta per Markup, ossia la sintassi che serve per abbellire il testo, creare i collegamenti (la H di HyperText) e identificare i componenti di una pagina web.

La sintassi complessa e lunga da digitare a manina fa in modo che spesso le pagine in HTML, come in questo blog, vengano composte con altri sistemi, e non digitando esplicitamente le etichette HTML, come in <h3>sottotitolo</h3> o <b>grassetto</b>.

Per questo motivo, un certo John Gruber ha proposto un sistema per formattare o abbellire il testo che potesse essere digitato mentre si scrive. Si chiama markdown, dove il 'down' indica la semplificazione verso il basso, rispetto al markup.

 

Con il markdown, ad esempio, il grassetto si indica con degli *asterischi*, il corsivo con delle barre diagonali //, e i titoli con degli uguale === sottotitolo === , con dei !!! punti esclamativi o dei cancelletti, in base alla variante utilizzata.

L'idea è sembrata geniale, tanto che il markdown viene usato dappertutto su internet: nei forum, nei wiki, nei siti di domande e risposte.

Purtroppo Gruber non si è cimentato in una standardizzazione delle sue proposte, che erano un po' ambigue per alcuni versi, e mancavano della ricchezza espressiva richiesta in molti documenti.

Per questo motivo, il markdown non è uno standard, e le varianti si sprecano, spesso incompatibili fra loro. Vi sono diversi candidati per uno standard, o per volume di adozione (standard de facto) o per ricerca di consenso. Ad esempio, su StackOverflow, recentemente si è deciso di passare al CommonMark. Su GithHub regna sovrano il markdown di GitHub, comunemente descritto come GitHub Flavoured Markdown, o 'gh'. Wikipedia ha la sua variante, usata da milioni di Wikipediani.

Oggi ho scoperto una nuova salsa o implementazione che vi segnalo, che a sua volta viene utilizzata per creare dei Wiki su GitHub.

Si chiama Discount, è scritta nel linguaggio C, e trovate qui il sito e la documentazione.

Qui un wiki realizzato con Discount, Make e GitHub: la documentazione del progetto musl.

18 ottobre 2020

Lo ricomprerei: copriwater IKEA anni 2000

Dopo almeno 15 anni di onorato servizio ha ceduto uno dei nostri oggetti IKEA più usati in assoluto: il copriwater!

E' stato l'asse più longevo di sempre, a mio avviso, soprattutto per le cerniere in plastica, a prova di qualunque prodotto corrosivo usato da chi l'ha amorevolmente pulito in questi anni.

Tutti gli altri si sono corrosi e rotti proprio sulle cerniere, solitamente in acciaio cromato. Alcuni dopo pochi mesi di utilizzo. Anche in questo caso si sono rotte le cerniere, ma per stress meccanico. Non voglio indagare sulle cause. 😕


E' uno dei pochi copriwater sganciabili che abbia mai visto (non che sia un esperto del settore 😄), quindi semplice da pulire a fondo. Grazie ad un attento design proprio delle cerniere, ha una parte che rimane attaccata alla tazza e l'asse che si stacca, semplicemente sollevandolo dal verticale. 

E' un prodotto sicuramente "over-engineered" come dicono in inglese. Con questo termine si indica un prodotto in cui i progettisti hanno aggiunto funzionalità e complicazioni che non hanno fondate giustificazioni commerciali. Non riesco ad immaginare le ore di progettazione e di industrializzazione del prodotto, gli stampi per la plastica e i test impiegati dalla casa svedese per assicurarsi la perfetta funzionalità dell'assemblaggio e del prodotto finale.

Sarà per questo motivo, o per altri a me sconosciuti, IKEA non lo produce più e la nuova linea ha le cerniere in metallo come tutte le altre marche.

Intanto che cerco un degno sostituto, ho provveduto alla riparazione, ricostruendo delle cerniere in legno. Non è stato semplice, ma con un po' di manodopera e di aiuto da parte della tribù, ci sono riuscito. 

Se siete curiosi, potete vedere i particolari in questa galleria di immagini.

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Note a posteriori: esistono aziende che fanno copriwater sganciabili e con cerniere non metalliche. Peccato che abbia trovato per ora solo produttori USA, con misure incompatibili (interasse fori USA 5''1/2 o 14cm, ITA 16cm). Vedi ad esempio:

08 luglio 2020

US Robotics 5462

In ogni famiglia con un certo numero di figli, c'è quello 'uscito male'.

La US Robotics non fa eccezione.

Guarda caso, l'access point Wifi che ho comprato anni fa, è proprio uno di questi.

Il modello è il 5462, (qui la pagina di US Robotics) che veniva venduto insieme ad una chiavetta WiFi, che invece ha funzionato abbastanza bene.

Questo baracchino, che è proprio una baracca, ha un hardware talmente brutto che non è stato nemmeno preso in considerazione da parte degli sviluppatori open source, per i progetti OpenWRT e DDWRT, che consentono di "personalizzare" la propria centralina WiFi.

Qui trovate la descrizione e le specifiche del chipset, che è un Intersil ISL3893, in questo forum, bollato come vecchio e pieno di difetti: "wireless driver full of bugs and not worth to be further developed".

In questi giorni lo sto usando come Access Point della rete "ospiti", chiamiamola così, perché la Vodafone Station Revolution non mi dà la possibilità di configurare gli orari di accesso, e quindi limitare la navigazione ai miei ragazzi.

Il problema più grave è che continua a perdere l'ora, e non è in grado di sincronizzarsi con alcun server esterno. Spesso lo trovo bloccato, entro e scopro che l'AP è tornato nel gennaio del 1970! Ovvio che nel 1970 non c'era WiFi e non può funzionare...

Delle tre opzioni presentate per l'aggiornamento dell'ora, l'unica che funziona è l'aggiornamento con inserimento manuale. Non funziona NTP, non funziona 'prendi l'ora dal computer', e evidentemente, il sistema non riesce a ricordarsi l'ora neanche da un giorno con l'altro...

Insomma, un pezzo di hw da dimenticare, che perde il tempo e fa perdere tempo!

16 giugno 2020

Android 4.4, figli e obsolescenza

Hai un vecchio telefono o tablet Android 4.4

Hai un minore di 13 anni.

Puoi dargli il dispositivo con un suo account Google?

TLDR: No.


Android Logo (2014)

Android Kit Kat, v. 4.4 è stato rilasciato alla fine del 2013, e manutenuto fino al 2017. Era ottimizzato per dispositivi di fascia bassa, e nel 2014 Android era il sistema operativo di 3 miliardi di dispositivi.

E' facile che, tra questi miliardi,  qualche vecchio telefono o tablet sia sopravvissuto fino ad oggi, a cinque anni di distanza.

Vorresti dare a tuo figlio di dieci o undici anni un vecchio telefono Android?
Beh, per usare la maggior parte delle funzioni, deve avere un account Google.

Facile: si va su accounts.google.com e si crea l'account. Tutto bene fino a quando non inserisci la data di nascita. Se ha meno di 13 anni, ti verrà indicato un generico errore "Ops, qualcosa non ha funzionato".

Scavi un po' e scopri che il giovane deve avere almeno 13 anni per creare un account Google. E l'alternativa?

L'alternativa c'è e si chiama Family Link, un app che va installata sul dispositivo del genitore, e su quello dei ragazzi.

    Google Family Link, app di controllo parentale per Android
Peccato che funziona solo su dispositivi Android dal 7.0 in su, e forse, ma forse, anche su qualche smartphone con Android 5 o Android 6, ma bisogna verificare modello per modello.

Insomma, vi sembra di fare le cose giuste, di fare economia, di riciclare, e di proteggere vostro figlio seguendo le indicazioni di Google, ma queste cose non sono compatibili fra di loro.

Mi riprometto di raccontarvi in un post successivo le strategie che ho usato per aggirare l'ostacolo.

Nel frattempo vi lascio un link che potrebbe fornirvi qualche indicazione:




02 giugno 2020

iPad: Spartiti digitali


Ho di recente acquistato un iPad, 5a generazione, con l'idea di digitalizzare il mio raccoglitore di spartiti musicali.

Per cominciare, ho deciso di esplorare i programmi più semplici ed economici, alcuni dei quali li ho trovati nel sito di un produttore di "girapagina bluetooth" per musicisti digitali.

Il primo che ho acquistato, a 5,49 EUR, è

Paperless Music


Molto semplice, ha solo due oggetti, lo spartito (music) e la raccolta (collection).

L'interfaccia è in inglese, ma potrebbe essere perché ho lasciato l'iPad in inglese.

L'utilizzo è molto semplice:
  1. aggiungi spartiti (tasto +), attraverso file PDF o immagini o file di testo, aggiungendo delle etichette, per tonalità, genere, ecc.
  2. crea delle raccolte (tasto +), scegliendo tra gli spartiti
Le raccolte possono essere comodamente usate come scaletta dell'evento o delle prove a cui suonate.  In entrambe è possibile ricercare, per genere, per tonalità ecc. I generi sono definiti dall'utente.

Per ora sembra tutto semplice e lineare, a meno di un problema con la lingua. Il correttore ortografico lavora nella lingua dell'iPad, e vuole modificarmi tutti i titoli italiani. Non ho trovato il modo di spegnerlo, né di indicargli un'altra lingua.

Vi aggiornerò.

Love Is Our Home

Love Is Our Home è in inglese, non mi risulta mai tradotto. E' del 1978 e anche fuori stampa anche se Amazon lo riporta, come qualche altro sito di libri usati.


Love is Our Home By Faith Lees

Io l'ho ereditato dalla zia Elizabeth, che ha avuto contatti con le persone e i fatti descritti.

E' stata una affascinante e piacevole lettura che mi ha immerso nella storia del movimento carismatico degli anni '60, di cui sono figli i miei genitori, i loro amici e io stesso.

E' un periodo storico che mi incuriosisce molto, con le sue variegate espressioni culturali, dagli Hippie ai Jesus Freak, dove comunque vedo un filo comune legato all'amore, all'apertura, alla condivisione di proprietà e di esperienze, in aperto contrasto con la vita politica ed economica fatta di Guerra Fredda, neo-colonialismo e materialismo.

Questo libro racconta le origini della Comunità di Post Green, che si è ufficializzata tra il 1975 e il 1985, ma ha le origini nelle esperienze spirituali vissute da Sir Tom Lees e sua moglie Faith negli anni '60.

L'idea di vivere in comunità attualmente non trova molto posto nella società occidentale, ed è sicuramente difficile e destinata quasi sempre ad estinguersi con l'uscita di scena dei promotori, come ci insegnano i movimenti monastici.

Vivere in famiglia è già difficile, e ci espone continuamente al problema di accettare ed amare noi stessi e gli altri. Vivere in comunità esaspera questo stato e ci mette continuamente in discussione.

Questo libro mi ha fatto meditare, e a voi giro le domande che mi ha provocato.

Vivreste in comunità?

Ci avete mai provato, o pensato?

Quali sono gli obiettivi che vi potrebbero portare ad un impegno e sacrificio del genere?



28 marzo 2020

COVID-19: test per tutti


Vo' Euganeo è il paese in provincia di Padova che nel 2020 è divenuto tristemente famoso per essere il primo comune in Italia a registrare una morte per COVID-19, il 28 febbraio 2020.

Vo' è tornato poco tempo dopo sulle pagine dei giornali, anche esteri, (ad esempio il Guardian inglese) per essere stato sede di un esperimento unico in Italia di contenimento del COVID-19 attraverso il campionamento di tutta la popolazione residente.

Innanzitutto, riporto la fonte più vicina alla fonte primaria che sono riuscito ad individuare, la digitalizzazione di un documento della Azienda Zero della Regione Veneto.

La notizia è stata commentata anche sul Corriere della Sera, in un articolo del 15 marzo:
Coronavirus e «tamponi on the road»: perché non si fanno a tutti?

Image by mohamed Hassan from Pixabay

Dato che questa notizia forse non ha avuto il risalto che meritava, vorrei farle eco, qui nel mio blog, cercando di capire se effettivamente se ne può trarre qualche conclusione utile per la popolazione generale, o se debba rimanere una notizia da archiviare negli annali della medicina.

L'Azienda Zero,  che nel sito istituzionale non descrive la propria missione, secondo questo sito, sarebbe istituita nell'ottobre 2016 da Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, per essere "un unico ente in grado di orchestrare nel migliore dei modi gli acquisti, la formazione del personale, l’accreditamento delle strutture private e il monitoraggio dei costi standard delle Ulss venete".

La responsabilità di un ente regionale è sicuramente un passaggio importante, perché da quando la Sanità è stata demandata alle Regioni, (anni 1990 e riforme avvenute sulla base della legge delega 23 ottobre 1992, n. 421), non possiamo più aspettarci una direzione unica per tutto il paese Italia, ma tante reazioni e strategie decentrate regionali.Tanto che, in molte sedi, si è rappresentato l'esperimento come iniziativa del Presidente della Regione Luca Zaia.

Lo studio, finanziato dalla Regione con 150mila euro, è stato affidato al Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Padova diretto dal professor Andrea Crisanti.

L'esperimento riflette l'opinione di molti virologi che qualunque strategia efficace di contenimento parta dal campionamento intensivo e l'individuazione dei focolai, che siano individui, centri abitati o regioni.

E' (o era) un esperimento sostenibile in Italia? Facciamo due conti:

150.000 euro / 2800 test = circa 54 euro / test.

Questa cifra corrisponde alla cifra riportata da altre fonti (es. l'articolo del Corriere citato), di circa 30 euro a tampone. Più in generale i reagenti di kit PCR costano all'ospedale dai 20-30 euro in su, ma a questi sono da aggiungere i costi del personale che raccoglie e che analizza il campione, il costo del medico refertante, il referto stesso (che ad oggi non appare dematerializzato), e lo smaltimento del tampone (che è un rifiuto speciale, e state tranquilli che la mafia ci sta guadagnando).



Alla data del 27 marzo, in Italia abbiamo dichiarato circa 400.000 test eseguiti (fonte Wikipedia, articolo COVID-19 testing in inglese).

30 euro x 400.000 test = 12.000.000 euro



Come vedete dall'immagine, siamo molto vicini all'investimento fatto in Corea del Sud, che però, per una rigorosa gestione dell'isolamento individuale dei positivi, ha abbattuto il numero dei positivi di circa dieci volte.

Le due popolazioni non sono direttamente confrontabili, ma il messaggio è chiaro: i test li abbiamo fatti qui e lì.
In Italia in generale,  abbiamo aspettato che si ammalassero e avessero i sintomi.
A Vo' e in Corea del Sud il campionamento generalizzato fatto subito ha consentito di identificare e isolare il contagio in tempi rapidi.

Torniamo alla domanda: sarebbe stato sostenibile in Italia?

Supponiamo di aver potuto fare un campionamento a tappeto, su un italiano ogni cento, ossia 60M/100 = 600.000 test, avremmo speso 30 x 600.000 = 18.000.000 di euro, probabilmente sostenibile, visto quello che abbiamo già speso.

Ma chi avrebbe potuto organizzare e autorizzare questa spesa? Nessuno, perché la Sanità è Regionale, e non c'è un coordinamento nazionale efficace.
E siamo capaci di gestire le emergenze e la disseminazione delle informazioni in Italia? Neanche.
E abbiamo il controllo del territorio? Nemmeno, basta guardare da quanti anni lottiamo con la criminalità organizzata.


Dal report e dai dati disponibili fin'ora vediamo che fino a 45 anni, abbiamo sei volte meno la probabilità di infettarci e di esssere portatori.

Per la mia generazione e più giovani non ci sono grossi problemi di salute, ma la vecchiaia e l'immobilità di questa nazione si ripercuotono pesantemente sull'economia e sulla qualità della vita.

Quindi, prepariamoci ad un lungo decorso, con strascichi economici e impatti sociali pesanti. Il ticket questa volta è grosso e le rate andranno avanti per mesi.

25 febbraio 2020

Coronavirus e visalizzazione dati

Il mio lavoro quotidiano spesso ruota attorno alla rappresentazione di dati raccolti in campo.

In questi anni di 'big data' e 'infografica' le tecniche per la rappresentazione grafica di dati in modo da convogliare informazioni sono molto di attualità e vedono ogni giorno nuove proposte e nuove tecniche.

In questi giorni sono incappato in un sito che propone un aggiornamento giornaliero sulla diffusione del COVID-19.



https://www.worldometers.info/coronavirus/

Worldometer è un sito commerciale che offre servizi di raccolta e pubblicazione dati in tempo reale. Include contatori per la popolazione mondiale, per l'economia, la società e, pagando, qualunque altra cosa misurabile su internet che vogliate documentare. Pagando una licenza potete includere un loro contatore sul vostro sito.

Se dovessi sceglierne uno, mi piacerebbe questo, che conta il numero di blog post scritti oggi:


La rappresentazione dei dati non è particolarmente curata nello stile o la grafica, ma semplice, lineare e di facile lettura.

A parte la materia, un po' triste, a me sembra un bel esempio di DataViz, e a voi?


06 febbraio 2020

Armadio IKEA PAX: aggirare l'angolo

Abbiamo pensato di nascondere alcuni oggetti di uso comune sparsi per la sala pranzo in un armadio.

Dopo qualche mese di indagini, di consultazioni su Pinterest e centinaia di foto trovate da Google,  abbiamo pensato ad un armadio bianco, poco profondo, per non rubare troppo pavimento alla nostra sala.

Guarda caso, corrisponde ad una delle possibilità offerte dalla gamma PAX di IKEA: profondità 38cm circa, pensato proprio per gli ingressi, le sale e tutti gli altri posti che non sono le camere e le cabine armadio.

Nella nostra fantasia, l'armadio girava anche l'angolo della sala, e dava continuità alle proporzioni tra muri e finestre.

https://www.ikea.com/it/it/cat/pax-guardaroba-componibile-19086/

Epperò.

Epperò, il modulo ad angolo esiste, ma solo per i moduli profondi 50cm. Ahi.

Epperò, se uno ci tiene tanto, lo trova un modo.

E pensa che ti ripensa, alla fine questo angolo da 38cm l'abbiamo fatto uscire.

Dato che non l'ho trovata documentata altrove, voglio rendervi partecipi dell'idea e della sua realizzazione.

Ho preso un modulo da 75cm, e l'ho 'annegato' nell'angolo, lasciando fuori lo spazio per un'anta da 50cm.
Putroppo perdo la differenza di 38 - 25 = 13 cm nell'angolo.

schizzo in pianta


vista dall'alto

OK, mi direte. Ma cos'è quella zona marrone in truciolato tra i due armadi?
Beh, nel progetto iniziale, se osserverete attentamente, non ho disegnato i pomelli delle ante.

Uno dei miei capi mi citava spesso una frase del tipo "The devil is in the detail" ossia, il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi. 
Il pomello, per quanto piccolo, occupa anche lui dello spazio, e interferisce con l'anta che fa angolo. Non solo, l'anta stessa del modulo ad angolo fa un percorso, nella sua estremità, che interferisce con l'anta vicina, che è in rilievo rispetto alla struttura.

Per questo motivo ho dovuto inserire un distanziale di 3,6cm fra i due moduli, sul lato lungo, costituito da due pannelli in truciolato spessi 1,8mm, opportunamente bordati di bianco.

le due ante dell'angolo, e il distanziale

particolare del pomello e distanziale
Aggiornamento, 27 febbraio 2020:
Lo stesso problema era stato posto nel sito degli IKEA Hackers, e già che mi ero impegnato a documentare una soluzione, l'ho proposta a loro come "hack".

La trovate, in inglese, a questo link:
https://www.ikeahackers.net/2020/02/pax-corner-wardrobe-35mm.html

16 gennaio 2020

Prestazioni, RAM e XMP su portatile HP

Recentemente, per lavoro, ho indagato alcuni strumenti per documentare le caratteristiche e misurare le prestazioni di un computer.

Ad esempio, uno strumento gratuito che documenta le caratteristiche della CPU e della RAM di un PC si chiama CPU-Z. L'ho installato sul portatile del lavoro, l'ho lanciato e mi ha descritto nei minimi dettagli la configurazione del portatile che utilizzo.


Uno strumento gratuito per misurare le prestazioni di un sistema Windows è UserBenchmark .

Anche questo si scarica, si installa e si lancia, e in automatico parte con una serie veloce di verifiche. I risultati vengono caricati sui propri server e visualizzati dal loro sito web.

Mi ha verificato la CPU, la RAM e il disco rigido, e per ciascuno ha fornito un indice che ha confrontato con quelli del suo database, ossia degli altri utenti che hanno utilizzato il programma.

Il risultato dei test sulla RAM mi segnala che l'indice misurato è inferiore alla media, e forse anche alle possibili prestazioni dei componenti.


Mi dice di verificare se è abilitato l'XMP.


Ma cos'è l'XMP?  E dove si accende?

Wikipedia ci illumina, come anche il sito Tom's Hardware.

XMP è una sigla che si traduce in: Extreme Memory Profile. Si tratta di un settaggio nel BIOS che consente di alla CPU di accedere alla RAM con frequenze più elevate di quelle 'standard'.

Più fatti, meno parole: decido di entrare nel BIOS del mio portatile e verificare se questa impostazione è abilitata o meno.

La prima difficoltà sta proprio nell'accesso ai parametri del BIOS. Devo riavviare la macchina e premere un tasto che potrebbe essere ESC, F2, F6 o F10 o DEL.

Dopo alcuni tentativi e ricerche su internet, scopro che per gli HP Notebook 15, il tasto corretto è ESC, da premere varie volte al riavvio. Se sono stato abbastanza veloce e insistente, mi propone un menù, tra le cui voci vi è "BIOS Settings" con il tasto F10.

Una volta entrato cerco la voce XMP.

Con notevole sorpresa, scopro che le impostazioni possibili sono meno di 10. Dove saranno scomparse tutte le altre voci? E soprattutto, perché non vedo XMP?

La risposta la trovo in un forum di utenti HP, in una discussione del 2014, riconfermata in una del 2019 :
HP does not usually provide a XMP Bios based setting.
I computer HP sono progettati per funzionare con i settaggi di fabbrica, che sono testati e garantiti. Niente overclocking, nessuna personalizzazione della scheda madre.

Quindi, in sostanza, ho fatto un bel giro a vuoto. L'ottimizzazione delle prestazioni non è una priorità per i muletti del lavoro. Se volete un PC performante, fate meglio ad assemblarlo da voi stessi.


01 gennaio 2020

Montessori, Mason, Steiner

Vi ripropongo, per sommi capi, un articolo divulgativo di Jean Miller sui diversi approcci alla scuola in casa, che ho trovato in inglese.


Un confronto tra metodi di scuola in casa: Charlotte Mason, Montessori e Steiner

Prima di avere figli, ho studiato didattica a scuola. Mi hanno insegnato che i bambini inseriti in una didattica della manualità hanno risultati migliori di quelli che non lo sono.

Così, quando arrivarono dei figli e decidemmo di fare scuola in casa, mi applicai per capire meglio questi approcci che favoriscono la manualità. Sapendo che i metodi di Charlotte Mason, Montessori e Steiner/Waldorf sono tutti esperienziali e rispettano l'individualità del bambino, ho cercato di rapportare questi approcci con le esigenze della nostra famiglia.

Oggi condivido con voi quello che ho imparato.

La mia esperienza personale

Ho sperimentato ognuno di questi metodi in misura maggiore o minore: proverò a raccontarvi le mie impressioni.

Dopo la laurea, ho lavorato per un anno in una classe Montessori 3-6 anni, e, per alcuni anni successivi, ho venduto materiali Montessori artigianali.

Ho usato alcuni materiali di Charlotte Mason a casa nostra quando i ragazzi hanno cominciato la scuola media e oltre.

Ma il grosso della mia esperienza è con il metodo Steiner/Waldorf perché è quello che ho scelto per la nostra famiglia. Ho educato tre figli a casa per più di venticinque anni e condotto lezioni ispirate al metodo per parecchi piccoli gruppi. 

Le radici storiche

Al di là delle mie esperienze personali, cerchiamo di capire le origini di questi metodi.

I proponenti di questi approcci condividevano tutti l'aspirazione di combattere una istruzione "industriale", cioè la tendenza a formare i bambini per un impiego specifico nel mondo del lavoro, fin dalla tenera età.

Nessuno di loro ha promosso l'uso di libri di testo o delle verifiche. Nonostante fossero di paesi diversi (Inghilterra, Italia, Germania), tutti desideravano profondamente costruire un mondo migliore.

Ciascuno di loro ha creato un metodo che promuove la natura spirituale e fisica del bambino, a partire da un fondamento di arti liberali

Per questi motivi ho un profondo rispetto per tutti e tre gli approcci.

Il metodo di Charlotte Mason

Il metodo di Charlotte Mason fu il primo dei tre, presentato nel libro Home Education del 1886. In Inghilterra la Mason creò un movimento (Parents' Educational Union)  per aiutare i genitori ad istruire i figli in età prescolare a casa o in piccoli gruppi.

Charlotte Mason sosteneva che i genitori dovevano essere i primi insegnanti dei propri figli, e quindi avrebbero beneficiato dalla comprensione dei principi fondamentali dello sviluppo infantile. A questo scopo pubblicava un bollettino mensile.

Oggi si trovano ancora scuole che utilizzano il metodo Mason. I suoi scritti sono stati ripubblicati negli anni '80 con rinnovato successo.

Il metodo Charlotte Mason è caratterizzato da brevi lezioni di 10 o 20 minuti per non stancare, e l'uso di "libri vivi" che insegnano "pensieri nobili", in parziale sostituzione dell'insegnamento diretto dei docenti.

Il metodo Montessori

Maria Montessori inaugurò la prima Casa dei Bambini a Roma nel 1907, per dare del "lavoro vero" a bambini che non avevano ordine e struttura nella loro vita.

Aveva scoperto che, fornendo a questi bambini, provenienti da famiglie di basso reddito, materiali presi dal "mondo reale", si sviluppavano e rimanevano concentrati per ore. Giunse alla conclusione che i bambini preferiscono fare cose "vere" rispetto al gioco di fantasia.

Il metodo Montessori è caratterizzato da bellissimi materiali didattici che contengono un metodo di "controllo dell'errore", che consente ai bambini di lavorare da soli e di verificare il proprio operato.

In una classe montessoriana, i bambini imparano "da soli" in un ambiente "preparato" dopo che l'insegnante ha impostato i materiali e trasmesso le attività. I bambini apprendono utilizzando i cinque sensi, al proprio ritmo. Dagli ultimi anni delle elementari i ragazzi lavorano in maniera indipendente a progetti di ricerca.


Il metodo steineriano


Rudolf Steiner aprì la prima Scuola Waldorf nel 1919 per i figli degli operai. Il suo obiettivo era di educare alla libertà e all'apertura del cuore attraverso le arti nel contesto dell'Europa del primo dopoguerra. (vedi articolo di Wikipedia)
Il suo approccio inserisce le arti in ogni lezione come mezzo per rafforzare la volontà e portare gioia nell'apprendimento.

Un asilo steineriano presenta molti oggetti naturali da manipolare e giochi aperti che i bambini possono utilizzare per ricreare scene di vita reale e dei racconti.
Nel corso delle elementari, le materie vengono insegnate utilizzando racconti, e i bambini registrano le cose imparate usando il disegno e la scrittura nei quaderni assemblati da loro stessi, detti quaderni della lezione principale. Questi quaderni autocostruiti sostituiscono i libri di testo e le schede.

Differenze e somiglianze tra gli approcci

E' interessante notare che tutti e tre i metodi sono favorevoli ad un ambiente 'casalingo' negli anni dell'infanzia, e a passare molto tempo all'aperto. Questo è sicuramente possibile a casa!
Negli anni delle elementari, le differenze principali si notano nella quantità di tempo dedicato al lavoro indipendente e da chi o cosa arriva l'insegnamento.
Montessori incoraggia maggiormente l'apprendimento autonomo e i materiali hanno il compito di insegnare.
Con l'approccio di Charlotte Mason, l'insegnamento è delegato ai libri.
Nella pedagogia Waldorf si privilegia l'interazione personale e l'insegnamento avviene attraverso un canale umano.
Ho imparato che la quantità di lavoro autonomo può essere tarato a casa in base alle esigenze della specifica famiglia. In generale, più sono i bambini e le resposabilità gestite da Mamma, più è costretta a trovare modi e situazioni in cui l'apprendimento avviene in autonomia, specialmente quando i ragazzi crescono.
E questo non è una cosa negativa. Anzi, l'obiettivo è di formare uno studente autonomo per quando lascerà casa per andare al college.
Tra i tre metodi, Waldorf e Charlotte Mason si assomigliano di più nell'approccio all'apprendimento. Nella scuola Waldorf, le arti costituiscono una parte importante di ogni lezione e contribuiscono a rinforzare la volontà del bambino. Charlotte Mason sosteneva che le abitudini allenano la volontà.
In entrambi i metodi le lezioni vengono costruite attorno ai 'libri vivi' e racconti elaborati. 
La differenza principale sta nella lunghezza delle lezioni: per Charlotte Mason, devono essere brevi e passare spesso da un argomento ad un altro. Nel metodo Steiner le lezioni durano da un'ora e mezza a due ore e affrontano lo stesso argomento per settimane, come nei testi della scuola tradizionale.


Il pezzo originale:

Comparing Homeschooling Methods: Charlotte Mason, Montessori, and Waldorf

https://ihomeschoolnetwork.com/comparing-homeschooling-methods/

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