27 febbraio 2019

Raspberry Pi: avviare un servizio all'accensione

Un appunto veloce per spiegare la soluzione che ho scelto per avviare un servizio all'avvio del Raspberry, soprattutto pensando ai miei lettori italiani, che non hanno sempre voglia di tradurre o farsi tradurre le pagine in inglese.

L'obiettivo: far partire uno script in Python che funziona da servizio, cioè parte in automatico e gira all'infinito o fin quando non viene interrotto manualmente. Nel mio caso si tratta di un programma scritto da me che per ora non ha neanche una interfaccia grafica, e forse non l'avrà mai.

Cinque soluzioni

Ci sono diversi modi per arrivare al risultato, come ho potuto verificare nelle mie ricerche.
In un articolo del sito Dexter Industries, vengono elencati 5, dico cinque modi diversi:
  • rc.local
  • .bashrc
  • init.d
  • systemd
  • crontab

rc.local

Ho provato il metodo rc.local, ma ho trovato subito delle difficoltà perché lo script in Python non trovava le librerie (import) e neanche i file locali che doveva aprire.

Per vedere gli errori ho eseguito da terminale il comando inserito nel file rc.local:

sudo python /home/pi/sample.py 

In pratica il sistema operativo non aveva finito di caricare l'ambiente, o io non ero stato in grado di dargli il contesto corretto in cui far girare lo script.

init.d

Il metodo init.d perché, nell'articolo citato, mi proponeva di copiare il programma nella cartella init.d.

sudo cp /home/pi/sample.py /etc/init.d/ 

A me questo metodo non piace, perché sto facendo lo sviluppo nella mia home, e vorrei lasciare tutto lì. Non vorrei cartelle duplicate e programmi duplicati.

systemd

Questo metodo sembra un po' più lungo e complesso, perché richiede
  1. di scrivere un file di istruzioni, detto "Unit File" o "Service File" e 
  2. di inserirlo tra i servizi di sistema
In realtà è proprio il sito del Raspberry a fornire delle indicazioni dettagliate corredate da un esempio per creare il file e i comandi necessari per avviare il servizio.

Queste istruzioni hanno funzionato per me al primo colpo ed è stato il metodo che ho preferito, per diverse ragioni:
  1. ho un file di descrizione del servizio separato dallo script/programma/servizio vero e proprio
  2. la granularità del controllo, o in parole semplici, la possibilità di definire diversi parametri come la "Working Directory"e definire eventuali dipendenze (es. avvia solo dopo aver avviato la rete)
  3. poter continuare a sviluppare e fare i test in una directory a piacimento,
  4. poter arrestare e riavviare il servizio con i comandi standard di Linux (systemctl)
Buon divertimento con il Raspberry!

17 febbraio 2019

il lettore Kindle in mano al bambino

Siamo una famiglia che legge più della media. A Natale è arrivato un bellissimo regalo ad uno dei miei figli: un Kindle PaperWhite.


Prontamente ho avviato l'impostazione dell'account e insieme abbiamo trovato i primi libri sul negozio elettronico. Chiaramente l'account è il mio ed è collegato ai meccanismi di pagamento impostati su Amazon.

Comprare un libro? No problem

Terminati i primi libri, la giovane lettrice in questione ha subito cercato una nuova serie dello stesso autore, e, ottenuta l'autorizzazione, ha avviato l'acquisto.

Con mia grande sorpresa, il Kindle non ha chiesto password né codici, niente di niente. L'acquisto fila via liscio e mi ritrovo l'addebito sul conto.

La cosa mi lascia molto perplessa, e ricontrollo quattro volte le impostazioni dell'account: non c'è l'acquisto con singolo click, non ci sono flag del tipo, "Ricordami" o "Non mi chiedere niente, compra e vai!". Sembra tutto ok, lato account Amazon.

La cosa si ripete in una seconda occasione, e capisco di avere in mano una bomba ad orologeria.

Time, clock, bomb pictures
Finalmente oggi, in occasione dell'ennesimo acquisto, raccolgo le mie energie e mi metto di traverso. "Fermi tutti! Questa cosa deve finire!"

La soluzione: Kindle FreeTime

Indago un po' e scopro l'esistenza di Free Time. E' il nome che Amazon ha dato agli account dei minori utilizzatori del lettore Kindle ed è collegato ai "Parental Control" ossia al controllo genitoriale.

Con "Free Time" il genitore imposta la password di "Parental Control" ed è solo inserendo questa password che il bambino può accedere al negozio online. Non solo, una volta acquistati i libri, il genitore deve esplicitamente aggiungerli alla lista visibile al bambino.

Trovate le istruzioni sul sito di Amazon, e un articolo più panoramico in questo blog di Micaela.
In inglese, invece trovate un post ancora più dettagliato sul sito pocket-lint.



19 gennaio 2019

email, spam, SPF

Ho un amico, Mario R., che lavora alle poste. Ogni tanto ci scriviamo, ma visto che siamo negli anni duemila, ci scambiamo delle email, anche se potrebbe perdere il lavoro perché nessuno più scrive lettere.

Un giorno mi scrive dal suo indirizzo mario.ruoppolo@ilpostino.it e mi inoltra una mail, proveniente anch'essa dallo stesso indirizzo.

Questa mail, però, non sembra scritta da lui. Infatti è minacciosa e anche un po' offensiva, e chiede dei soldi in bitcoin, che Mario non usa. L'autore dice di avere le sue password e anche filmini di Mario che potrebbero metterlo in imbarazzo se postati su Facebook.

Per questo motivo Mario, un po' allarmato, mi ha girato la mail e mi chiede se veramente qualcuno è entrato nel suo account di posta e ha scritto la mail usando il suo computer e come ha potuto.
https://www.film.it/
Dalla mail girata non si capisce quale sia il computer di origine di quella mail, ma sono abbastanza sicuro che non sia il suo, e nemmeno quello del suo gestore di posta elettronica.
Mi sembra più probabile che qualche furbetto avesse scritto la mail da chissà dove, e poi avesse appiccicato sulla busta l'indirizzo del destinatario come mittente.

E' proprio quello che fanno alcuni truffatori, e a giudicare dalla frequenza con cui mi recapitano questo tipo di email, sembra che non muoiano di fame. In inglese si chiama SPOOFING, mandare messaggi firmandoli col nome di un terzo.

Peggio ancora, potrebbero usare l'indirizzo di Mario per chiedere soldi a terzi, ad esempio inviando una finta raccomandata, o un pacco con contrassegno.

Come fa Mario a essere sicuro che l'email che dice di provenire da mario.ruoppolo@ilpostino.it arrivi davvero dal computer che gestisce la sua email? E come fa a garantirlo al resto del mondo?


Photo by rawpixel.com from Pexels

Entra in scena una tecnica che si chiama Sender Policy Framework o SPF, descritta formalmente nel RFC7208

Funziona più o meno così:
  • io che sono il gestore del dominio "ilpostino.it" faccio un elenco di tutti i computer che possono inviare email da indirizzi che finiscono per "@ilpostino.it", e lo metto su internet in modo che tutti possono leggerlo (per i più tecnici, li elenco nei record DNS).
  • tu che ricevi la posta e vuoi fare un controllo su una email che riporta come mittente mario.ruoppolo@ilpostino.it:
  1. apri l'intestazione dell'email, 
  2. leggi l'indirizzo del computer che ha inviato la mail e 
  3. vai a vedere su internet se il dominio "ilpostino.it" manda le mail dallo stesso computer che ha inviato l'email che stai controllando. (Per i più tecnici, confronti l'IP del mittente con gli IP elencati nei record SPF del DNS).
Se i computer coincidono, bene. Se non coincidono, butta via l'email.

Se io, gestore del dominio, non li ho elencati, nulla si può dire, e devi affidarti ad altri metodi per capire se la missiva è buona o da scartare.



SPF è in uso dal 2004, ed è frutto del lavoro di un po' di gente, tra cui Meng Weng Wong, un signore originario di Singapore (un personaggio interessante, di cui mi propongo di raccontarvi in seguito).

Per verificare se il tuo gestore utilizza l'SPF puoi fare dei controlli su dei siti pubblici e gratuiti come questi:
Da qui ho scoperto che l'amministratore di sistema di Mario non usa SPF. Così, insieme, l'abbiamo impostato, e ora Mario è più tranquillo.

Ci sono altri blogger che hanno tentato di spiegare questi meccanismi senza troppa fuffa, come Andrea Marucci di Como:
https://www.tuttosullapostaelettronica.it/blog/cosa-e-spf-e-come-leggere-un-record-spf/

L'SPF non è un toccasana per tutti i domini e tutte le esigenze, se no lo spam non esisterebbe più, ma se volete verificare se la vostra posta elettronica è protetta da questo tipo di frode, ora avete qualche elemento in più per capirlo.

13 gennaio 2019

Metodo Montessori: questo sconosciuto

Come scrivevo in questo post del 2016, a Pavia, o ad essere precisi, a Sommo (PV), da qualche anno alcuni bambini hanno avuto la possibilità di frequentare asilo e scuola primaria secondo il metodo Montessori.

L'iniziativa nasce da un gruppo di mamme a Pavia che si sono date molto da fare, sia per pubblicizzare il metodo, attraverso conferenze e presentazioni, che per avviare concretamente l'asilo e la scuola attraverso un faticoso lavoro di collaborazione con le istituzioni locali.

Dopo un paio di anni di contatto con questa realtà, durante i quali ho assistito ad alcune presentazioni e ho dedicato qualche ora ad approfondimenti personali,
la domanda sorge spontanea
come diceva Antonio Lubrano.

Mi sono più volte domandato perché da quarantacinque anni ad oggi, il metodo Montessori non sia stato diffuso nelle scuole italiane.
Così scriveva Don Luigi Sturzo nel lontano 1952. Sono passati quasi 70 anni, e a questa domanda hanno provato a rispondere in tanti, tra cui Don Luigi stesso in questo articolo "Ricordando Maria Montessori", dal quale cito ancora (e che potete leggere in  questo sito montessoriano).

Allora come oggi, debbo dare la stessa risposta: si tratta di vizio organico del nostro insegnamento: manca la libertà; si vuole l’uniformità; quella imposta da burocrati e sanzionata da politici. Manca anche l’interessamento pubblico ai problemi scolastici; alla loro tecnica, all’adeguamento dei metodi alle moderne esigenze. Forse c’è di più: una diffidenza verso lo spirito di libertà e di autonomia della persona umana che è alla base del metodo Montessori.

(enfasi mia)

Questo testo si trova nei paragrafi conclusivi dell'ampia sezione biografica del libro "Dio e il Bambino e altri scritti inediti" 2013-2016, Editrice Morcelliana, a cura di Fulvio De Giorgi.

In questi frammenti di blog, faccio precedere la domanda ad altre considerazioni sul pensiero e sull'opera di Maria Montessori.

Personalmente, ritengo che storicamente, non si può prescindere dal veto al metodo Montessori imposto dal fascismo. Sempre da Fulvio De Giorgi prendo questa citazione di Umberto Benigni, antimodernista e spia dell'OVRA , che nel 1932 scriveva che non vi era
 "nulla di più spiritualmente antifascista" 
del Metodo della Montessori.

Nel 1934 la Dottoressa e il figlio Mario abbandonarono l'Italia e si trasferirono in Spagna. 
Le scuole montessoriane vennero chiuse (come anche nella Germania nazista) e nel 1936 il ministro De Vecchi soppresse anche la Regia Scuola del Metodo.

Potè rientrare solo il primo maggio del 1947. Tredici anni di buio montessoriano in questo paese.

E dopo la seconda guerra mondiale?

Mi riprometto in qualche post successivo di pescare altre pillole di saggezza di questa straordinaria donna per continuare l'indagine.




26 dicembre 2018

Libri letti 2018 - 12

Giusto un appunto per ricordarmi di un paio di libri che ho finito di leggere questo mese, entrambi ereditati da mia zia Elizabeth, laureata in Storia, missionaria ed educatrice in Kenya negli anni '80.


Unbowed - One Woman's Story

Wangari Maathai, 2006

ISBN: 978-0099493099

(in inglese) E' l'autobiografia di Wangari Mathai, una ragazza keniana che cresce tra cultura nativa Kikuyu, suore italiane, colonialismo britannico e infine l'università negli Stati Uniti e in Germania.

Dotata di una determinazione singolare e capacità politiche notevoli fu una pioniera del movimento "Green" a cui dette uno sbocco pratico immediato attraverso programmi di riforestazione in Kenya. 

Le sue lotte a favore dell'ambiente, dei diritti delle donne e delle minoranze, della democrazia si scontrarono con il vuoto politico lasciato dal governo coloniale, il cattivo governo, la corruzione e i lasciti più gretti della cultura locale.

E' una storia avvincente, fitta di eventi e di colpi di scena, sullo sfondo di un paese e una cultura vissuti e raccontati con semplicità e profondo amore.


Adventures in Afghanistan

Louis Palmer, 1990

(inglese) Questo libro è assai strano e, come asserito in alcune recensioni, non è da prendere come fonte storica per descrivere l'Afghanistan degli anni '80. Piuttosto è da prendere come un excursus storico religioso del paese da parte di un accolita o ricercatore del sufismo secondo lo stile di Idries Shah, alla cui casa editrice Octagon Press dobbiamo questo volume.

Descrive una gita in giro per il paese durante l'occupazione russa, in compagnia di personaggi alternativi che lo espongono a ritagli di cultura afgana, personaggi mistici e custodi di musei culturali regionali. Ci ritorna un racconto molto sbilanciato a favore dei difensori locali della tradizione, e contro l'invasore russo, ricco di aneddoti e pillole di saggezza orientali.

Dell'autore non si sa molto. L'unica traccia in internet che ho trovato è in una recensione del libro, nel quale il recensore dice di averlo incontrato di persona.


Personalmente, è un testo che conserverò, insieme al racconto di Peter Levi (The Light Garden of the Angel King: Journeys in Afghanistan) che narra il suo viaggio del 1969, una fotografia oggi completamente sepolta dalle guerre e dall'estremismo Islamico.

Vi lascio il link a questo testo, che è stato tradotto in italiano, e mi auguro di poter un giorno visitare questo paese così ricco di storia, di tradizioni e di bellezza naturale, e così devastato dalle ambizioni di potere degli uomini del nostro tempo.



02 dicembre 2018

Pane di pasta madre in macchinetta 3

Dopo la ricetta di giugno, siamo alla terza puntata del pane di pasta madre fatto nella macchinetta del pane.

Purtroppo il tempo è tiranno, e ci si ingegna come si può per sfruttare la tecnologia e cercare di ottenere qualcosa che assomiglia al pane della tradizione.

La ricetta di base non è cambiata, ma il procedimento ha subito delle elaborazioni.

Gli ingredienti:
  1. Farine: 600g
  2. Acqua: 400ml
  3. Sale: 2 cucchiaini
  4. Pasta madre: almeno un bicchiere
Procedimento:
  1. Buttate la pasta madre, l'acqua e 400g di farina nella vaschetta: ottenete un impasto molle.
  2. Lanciate il programma "Impasto". Il mio dura 90 minuti.
  3. A fine programma o quando potete, aggiungete il sale e il resto della farina e rilanciate il programma "Impasto" una seconda volta.
  4. Barbatrucco: se la temperatura ambiente non favorisce la lievitazione (sotto i 25-30 gradi), date una mano ai lievitini alzando la temperatura locale: avviate il programma "Cottura" e poi stroncatelo dopo un paio di minuti; coprite con uno strofinaccio.
  5. Aspettate che l'impasto lieviti fino all'altezza desiderata, ossia praticamente fino al bordo della vaschetta o poco meno.
  6. Lanciate il programma "Cottura". Il mio dura 60 minuti.
  7. Barbatrucco: se dovete uscire o andare a dormire e avete il sospetto che arriverete troppo tardi ad avviare la cottura, prima di abbandonare il campo lanciate il programma di cottura con la partenza ritardata, in modo che la vostra macchinetta parta con la cottura dopo un'ora o due, e non rimaniate a bocca asciutta.


11 novembre 2018

Uffici e open space per programmatori

Prendo spunto da un articolo di un quotidiano di Seattle, nello stato di Washington negli Stati Uniti. Perdonatemi se oggi l'argomento ha principalmente riferimenti e fonti in lingua inglese.

Microsoft’s campus redevelopment: What’s staying, what’s being torn down


Si parla dei progetti edilizi di Microsoft, e si racconta dei vecchi edifici ad X che verranno demoliti e dei nuovi (non a X) che verranno costruiti.

Negli anni '80 Microsoft cercava di attirare  programmatori e ingegneri offrendo un ambiente di lavoro stimolante e di prestigio nel quale ognuno aveva il suo ufficio.


Le palazzine ad X sono nati da questa esigenza: per massimizzare il numero di uffici con finestra.



Nel 2008, Fog Creek (ora Glitch), i creatori di Stack Overflow, hanno avuto lo stesso approccio, raccontato dal loro CEO Joel Spolsky in questo articolo. Testualmente:
 "Every developer, tester, and program manager is in a private office" ("ogni sviluppatore, collaudatore e capo progetto ha un ufficio personale").

Suppongo che oggi Microsoft è in declino e conta sulla propria reputazione per attirare nuove risorse. Per questo e altri motivi abbatte gli uffici ad X è li sostituisce on strutture con più Open Space.

L'Open Space (in inglese Open Plan) è la soluzione architetturale al problema del costo degli uffici, dei ritmi di lavoro veloci e incerti, e più in generale del passo diverso che tiene l'edilizia rispetto all'informatica e agli affari. 

Quanto può durare un progetto informatico? O una azienda informatica? Un grosso spazio aperto può raccogliere decine di persone in micro-postazioni dedicate ad un progetto. Tra un mese altre decine di persone potrebbero occupare gli stessi spazi, su un altro progetto, magari di un altra azienda, o con altre mansioni.

Per Microsoft sono passati ormai quasi quarant'anni dal boom. Il mondo è cambiato, e anche le loro prospettive.

La mia personale esperienza degli uffici Open Space non è particolarmente positiva. 
  • Ognuno è soggetto al lavoro dei vicini. 
  • Non ci sono spazi dove potersi concentrare. 
  • Se uno ha abitudini o tecniche di lavoro che producono "rumore" tutti i vicini ne soffrono. 
  • Se uno è sensibile all'ambiente troverà irritanti i vicini. 
  • Sei esposto alle telefonate e alle conversazioni di tutti, e viceversa le tue telefonate e conversazioni non saranno mai veramente private.
Per risolvere questi problemi, alcune persone che conosco lavorano con le cuffie per tagliare fuori il trambusto. Altre hanno chiesto di trasferirsi a qualche scrivania o piano di distanza. Altre hanno imposto le proprie regole al vicinato, a beneficio o discapito della produttività individuale dei colleghi.

Certo: i metri quadri costano. Certo: divisori, porte e finestre costano. 

Ma la qualità del lavoro prodotto al mercato è lo stesso di quello prodotto in laboratorio?

Vi lascio con qualche altro puntatore all'argomento: